Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/324

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766-795 CANTO XI 269

quel giorno che da Ftia ti mandava a seguire l’Atríde,
e Ulisse divo, ed io, ch’entrambi eravamo presenti,
udimmo tutti, dentro la casa, com’egli ti disse.
Giunti alla casa, al lieto soggiorno eravam di Pelèo.
770ché facevamo accolta di genti in Acaia ferace.
In questa casa, dunque, Menezio trovammo, l’eroe,
e te: vicino Achille pur t’era: ché il vecchio Pelèo
entro il recinto ardea della corte, al figliuolo di Crono
cosce di pingui giovenchi. Un’aurea coppa stringendo,
775nitido vino spargeva sovresse le vittime ardenti:
presso al giovenco, voi badavate alla carne. Ed in quella
noi giungemmo al vestibolo. Achille, sorpreso, ci scorse,
per man ci prese, invito ci fece a sedere; e dinanzi
cibi ospitali ci pose, che sogliono agli uomini offrirsi.
780E poi che fummo sazi di cibi e bevande, a parlare
io cominciai per primo, invito vi feci a seguirci.
Pieni di voglia entrambi voi foste: vi fecero i padri
mòniti molti: il vecchio Pelèo fe’ ricordo ad Achille
d’essere primo sempre, d’emergere sempre sugli altri;
785e te, d’Àttore il figlio, Menezio, in tal guisa esortava:
«Per la sua stirpe Achille ti supera certo, o figliuolo:
maggiore sei tu d’anni, ma molto ei ti vince di forza.
Ma ben potrai tu dargli consigli ed acconce parole:
potrai guidarlo, ed egli dovrà, pel suo bene, seguirti».
790Cosí diceva il vecchio; ma tu l’hai scordato. Ora, almeno,
cosí parla ad Achille guerriero, se mai voglia udirti:
chi sa, che tu, parlando, se un Nume t’assista, non possa
farlo convinto. Assai d’un amico può far la parola.
Ché s’egli pensa qualche divino responso schivare,
795ch’abbia svelato a lui la madre da parte di Giove,