Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/336

Da Wikisource.
170-199 CANTO XII 281

170cosí, benché due soli, non lasciano quelli le porte,
se pria strage di noi non facciano, o cadano spenti».
     Cosí disse; né Giove mutò, pei suoi detti, la mente,
però ch’esso voleva concedere ad Ettore gloria.
     E intorno all’altre porte venivano a zuffa altre genti;
175ma non posso io, che un Nume non sono, narrare di tutti:
ché d’ogni parte, al muro d’intorno, dei sassi l’incendio
cresceva ardente; e a forza, per quanto avviliti, gli Argivi
pugnavano a difesa dei legni; ed afflitti i Celesti
erano, quanti erano usi proteggere i Dànai in guerra:
180ed appiccata i Lapíti aveano la guerra e la pugna.
     Qui Polipète, gagliardo figliuol di Pirítoo, l’asta
contro Damàso vibrò, lo colpí nella bronzea celata:
né resistette l’elmo di bronzo; e fuor fuori passando,
l’osso spezzò la punta di bronzo, e di dentro il cervello
185si sfracellò: l’abbatte’, mentr’ei si lanciava all’assalto.
Quindi, Pilone tolse di vita, quindi Òrmeno; e il germe
d’Are, Leonte, trasse di vita d’Antímaco il figlio,
Ippòmaco, d’un colpo che a mezzo la cintola il còlse.
Dalla guaina poi tratta fuori l’aguzza sua spada,
190primo Antifàte, su lui piombando fra mezzo la turba,
colpí da presso; e quello piombava sul suolo rovescio.
E dopo loro, Oreste, poi Mènone e Iàmeno, tutti,
l’uno sull’altro abbatte’, sovressa la terra feconda.
     Mentre spogliavano essi dell’armi lucenti i caduti,
195i giovani che mossi con Ettore e Polidamante
s’erano, ed erano i piú numerosi, i piú forti e bramosi
di far breccia nel muro, di mettere a fuoco le navi,
su l’orlo della fossa rimasero tutti perplessi:
ché, mentre eran lí lí per varcarla, un prodigio era apparso: