Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/343

Da Wikisource.
288 ILIADE 380-409

380giacea, dentro dal muro, sul sommo; né retto l’avrebbe
un uomo, anche fiorente, di quelli che vivono adesso,
pure con ambe le mani. Lo levò, lo scagliò dall’alto,
e gli schiacciò le quattro difese dell’elmo, ed insieme
l’ossa del cranio gl’infranse; ed egli piombò giú, che parve
385un palombaro, dall’alto del muro; e senz’anima giacque.
E Teucro colpí Glauco, d’Ippòloco il figlio gagliardo,
che si lanciava all’assalto del muro: ove il braccio scoperto
vide, quivi colpí, desister lo fe’ dalla pugna.
Lungi dal muro balzò, si nascose, perché degli Achivi
390niuno vederlo potesse ferito, e menarne alto vanto.
Ma molto si crucciò Sarpèdone, ch’egli partisse,
súbito ch’ei se n’avvide; né pure lasciò la battaglia,
anzi, Alcmeóne abbatte’ con la lancia, di Tèstore il figlio,
poi trasse l’asta a sé: seguendo il piagato la lancia,
395cadde bocconi; e su lui rombarono l’armi di bronzo.
E poscia, ecco, afferrò con le mani gagliarde uno spalto,
e a sé lo trasse; e quello cedette per quanto era lungo;
e il muro fu scoperto di sopra, e schiuse ampia una via;
e Aiace, e Teucro insieme, piombaron su lui. Con un dardo
400questi il colpí sul petto, sovressa la lucida cinghia
del grande scudo — Giove però, da suo figlio lontane
tenne le Parche, sicché non cadesse vicino alle navi — ;
e Aiace anche balzò, lo colpí su lo scudo: la punta
non penetrò fuor fuori, ma pure, a respingerlo valse
405mentre moveva all’assalto. Indietro d’un poco si trasse;
ma non cede’ del tutto; ché il cuore sperava alta gloria;
e lanciò un grido, indietro rivoltosi, ai Lici divini:
«Lici, perchè cosí la nera prodezza obliate?
Difficile è per me, per quanto possa essere prode,