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XXXVI PREFAZIONE


Ma se invece è giusta la mia visione, nulla di tutto ciò. Queste scuole, queste officine d’arte micenaiche, non esisterono. E già, nel mondo acheo, guerresco, turbolento, perennemente mobile, dove erano le condizioni ineliminabili per ogni sistemazione, ogni fioritura e diffusione artistica? Il mondo achèo è di predoni; non dà, ma solamente ghermisce.

E allora, molta luce si effonde sopra uno almeno dei misteri del famoso medio-evo ellenico. Infatti, finché si concepiva un’arte micenaica che nelle sedi greche produceva, per diffonderli nel mondo, tanti capolavori, non si capiva come poi quella produzione cessasse interamente, per far luogo agli innumerevoli fantocci scolpiti grafiti disegnati, onde l’arte arcaica greca propriamente detta sembra cercare la propria via all’infuori d’ogni influsso e d’ogni tradizione.

Ma concepita invece come un miscuglio di oggetti predati o importati, e di opere eseguite da artisti stranieri o locali per diretto comando dei principi, senza radici in una tradizione patria, s’intende che, quando il regime decade, anche l’arte scompare. Il fenomeno non ha nulla di strano. Lo stesso avviene per l’arte etrusca. Anche qui, i tipi creati da artisti greci in questa o in quella regione, durano tanto quanto vivono questi artisti. Ma, non essendo legati da verun rapporto necessario con la coscienza del popolo, come appaiono all’improvviso, cosí, all’improvviso, spariscono. Fiori avulsi che brillano e olezzano anche sul suolo straniero, ma non vi mettono radice.

Radici aveva invece nel suolo ellenico quel terzo filone che abbiamo detto pelasgico; e se ne confrontiamo le immagini, dipinte sui vasi o scolpite, con quelle del Dípylon, facilmente intravvediamo la parentela. Qui e lí primeggia la figura umana. Qui e lí predilezione di soggetti guerreschi, tendenza a pas-