Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/63

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8 ILIADE 140-169

140quello a cui toccherà. Ma di ciò parleremo piú tardi.
Ora una nave negra si spinga nel mare divino,
e rematori in quella s’accolgano, e dentro si ponga
una ecatombe, e anch’essa la bella figliuola di Criso,
vi salga; e guida sia qualcuno dei duci assennati —
145Aiace, Idomenèo, Ulisse divino, o tu stesso,
figliuolo di Pelèo, tremendo fra gli uomini tutti —
ché con le offerte plachi il Nume che lungi saetta».
     E Achille pie’ veloce, guatandolo bieco, rispose:
«Ahimè, anima avara, vestita di spudoratezza!
150E chi mai degli Achei vorrà di buon grado obbedirti,
sia quando a campo si muove, sia quando si pugna da forti?
Non son venuto già per odio dei prodi Troiani
a questa guerra, io no: ché mai non mi fecero torto,
mai rapito non mi hanno cavalli né mandre di bovi,
155non hanno mai distrutte le messi nei solchi di Ftia
fertile, altrice di genti: ché sono fra l’isola e loro
molte montagne ombrose, e il mare dall’eco sonora;
ma, svergognato, per te ti seguimmo, per farti contento,
per vendicar Menelao dall’offesa troiana, e te stesso,
160ceffo di cane; ma tu non ci pensi, ma nulla t’importa.
Ed or vai minacciando che vuoi ripigliarmi il mio premio,
che dato m’han gli Achivi, che tanta fatica mi costa!
Pari alla tua non è mai la mia parte, allorché dei Troiani
mettono a sacco qualche città popolosa gli Achivi:
165ché anzi, quando infuria la guerra, la parte piú dura
la compion queste mani; ma quando si sparte il bottino,
è la tua parte piú grossa di molto, piccina è la mia;
e me ne torno, stanco di pugne, con quella a miei legni.
Ma questa volta, a Ftia me ne torno; ché val molto meglio