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468-497 CANTO I 19

Quando sopita fu la brama del cibo e del vino,
i giovanetti, colmati di vin, sino all’orlo, i cratèri,
470dopo libato agli Dei, riempirono a tutti le coppe.
E degli Achivi i figli col canto molcevano il Nume,
sino che giunse la sera: levarono in gloria di Febo
l’armonïoso peana; l’udiva, e allegravasi il Nume.
Appena il sol s’immerse nel mare, e la tènebra scese,
475presso la poppa del legno si stesero, e il sonno li colse.
E come Aurora poi comparve ch’à rose fra i diti,
verso l’esercito grande salparono ancor degli Achivi.
Fece per essi il Nume levare una prospera brezza:
l’albero alzarono allora, vi steser la candida vela:
480gonfiò la brezza a mezzo la vela; e d’intorno a la chiglia
romoreggiava, volando la nave, il purpurëo flutto.
Corse lunghessi i flutti, compiendo il viaggio, la nave;
e poi che degli Achei fûr giunti all’esercito grande,
prima la nave negra tirarono in secco a la spiaggia,
485alto, sovra la sabbia, vi stesero sotto i puntelli,
poi si sbandarono via, d’intorno alle tende e alle navi.
     Ma si rodeva intanto di cruccio, vicino alle navi,
Achille, il pie’ veloce divino figliuol di Pelèo;
né mai dell’assemblea moveva a le nobili gare,
490né fra le pugne mai; ma, quivi restando, il suo cuore
struggeva nel desio delle pugne e dell’urlo di guerra.
     Or, come poi spuntò dopo questo il duodecimo giorno,
ecco, tornarono i Numi che vita han perenne, in Olimpo,
tutti, e, lor duce, Giove. Né Tètide pose in oblio
495quanto le aveva chiesto suo figlio. Dai flutti del mare,
simile a nuvola emerse, al cielo s’aderse e all’Olimpo.
Ed il Croníde trovò seduto in disparte dagli altri,