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36 ILIADE 260-289

260dell’aureo scettro; e giú sedette sgomento, nicchiando,
volgendo attorno l’occhio smarrito, tergendosi il pianto.
Ma risero di cuore, sebbene crucciati, gli Achivi:
e si guardavano, e andavano l’uno con’ l’altro dicendo:
«Càspita, mille gesta mirabili Ulisse ha compiute,
265vuoi nei consigli, vuoi guidando le schiere a battaglia;
ma questo è certo il fatto piú insigne ch’egli abbia compiuto,
ché mise a posto questo maledico senza vergogna.
Piú non lo spingerà davvero il cuor suo temerario
ad inveir contro i re, con tante parole d’obbrobrio».
     270Cosí dicea la folla. E Ulisse, di rocche eversore,
stette impugnando lo scettro. E Atena occhi glauca, a lui presso,
forma d’araldo assunta, silenzio imponeva alle turbe,
perché le prime file e l’ultime insiem degli Achivi
le sue parole udite, ponessero mente al consiglio.
275Ed ei, pensando al bene, parlò, disse queste parole:
«Atríde, ora davvero, signore, ti voglion gli Achivi
rendere il piú biasimato fra quanti sono uomini al mondo,
né la promessa mantengon, che pure ti fecero un giorno,
quando dal suolo d’Argo qui vennero teco, che solo
280dopo distrutta Troia ritorno faresti alla patria!
Al pari ora di nuovi fanciulli, di vedove al pari,
piangono l’uno con l’altro, che vogliono a casa tornare.
Certo si può, pel lungo fastidio, bramare il ritorno:
ché pur chi resta un mese soltanto lontan da la sposa,
285sui banchi della nave si angustia, se mai le procelle
del verno, e il mar che i flutti levò, lo trattengono lungi;
e noi, sono di già nove anni, col volger del tempo,
che rimaniamo qui: non biasimo quindi gli Achivi,
quando si cruccian presso le navi ricurve; ma turpe