Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/101

Da Wikisource.
98 ILIADE 438-467

     Ed Era a lui rispose, la Diva dall’occhio fulgente:
«Quali parole dici, di Crono figliuol prepotente?
440Un uomo nato a morte, da lungo segnato dal fato,
scioglier daccapo vuoi dai lacci aborriti di morte?
Fa’; ma non tutti i Numi vorranno largirtene lode.
E un’altra cosa ancora ti dico, e tu figgila in mente;
se in Licia tu vorrai mandare Sarpèdone vivo,
445pensa che poi qualche altro vorrà dei Celesti, egli pure
mandare il figlio suo lontan dalla fiera battaglia:
ché, intorno all’alta rocca di Priamo combattono molti
figli di Numi; e fra i Numi tu nascer farai fiero cruccio.
Ma pur, s’egli t’è caro, se piange il cuor tuo la sua sorte,
450lascia che sotto le mani di Pàtroclo adesso, del figlio
pro’ di Menezio, cada prostrato nel fiero cimento;
e poi che l’alma sua lasciato l’avrà, la sua vita,
manda la Morte e il Sonno soave, che allora il suo corpo
rechin, sinché sian giunti sui fertili campi di Licia,
455dove sepolcro a lui daranno i fratelli e gli amici,
sotto una tomba e una stele: ché tale dei morti è l’onore».
     Disse cosí. Fu convinto degli uomini il padre e dei Numi,
e sulla terra fece rugiade cadere di sangue,
prestando al figlio onore, cui Pàtroclo uccider doveva
460sopra le pingui zolle di Troia, lontan dalla patria.
     Or, quando l’un sull’altro movendo, già eran vicini,
Pàtroclo quivi al prode Trasímede, illustre campione,
ch’era scudiere del forte Sarpèdone, sire dei Lici,
un colpo trasse al basso del ventre, che morto lo stese.
465Dopo di lui, vibrò Sarpèdone il colpo; e non còlse
Pàtroclo l’asta fulgente, ma Pèdaso giunse, il corsiere,
sopra la spalla destra. Die’ un urlo, esalando la vita,