Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/136

Da Wikisource.
529-558 CANTO XVII 133

E con la spada qui l’un su l’altro sarebbe piombato,
530se sopra loro, a spartirli, non fossero giunti gli Aiaci,
che, del compagno all’appello, corsi eran di mezzo alle turbe.
E per timore, allora, di nuovo si trassero indietro
Ettore, e Cromio che aveva l’aspetto d’un Nume, ed Enea,
Arete qui giacente lasciando, col cuore squarciato.
535E Automedonte, l’eroe che in impeto Marte agguagliava,
dell’armi lo spogliò, pronunciò questi detti di vanto:
«Davvero, un poco adesso, per quanto abbia ucciso un da meno,
lenita ho nel mio cuore la doglia di Pàtroclo spento».
E, cosí detto, gittò sul carro le spoglie cruente,
540ed egli stesso su vi balzò, con le mani ed i piedi
insanguinati, come leone che un toro ha sbranato.
     E attorno ancor la pugna si strinse al figliuol di Menezio,
feroce, lagrimosa: ché Atena eccitava la rissa,
scesa dal cielo: mandata l’aveva il possente Croníde,
545per eccitar gli Achivi: ché s’era voltato il suo cuore.
Come allorquando l’iri purpurëa Giove dispiega
dal firmamento ai mortali, perché sia segnacol di guerra,
o di tempesta, che l’aria fa gelida, che dei bifolchi
l’opera a mezzo interrompe nei campi, e contrista le greggi:
550cosí dentro una nube di porpora ascosa, la Diva
s’insinuò fra gli Achèi, ridestando in ognuno l’ardire.
E la parola prima rivolse al figliuolo d’Atrèo,
al prode Menelao, che presso le stava; ed assunto
aveva di Fenice l’aspetto e la voce mai stanca:
555«Certo, per te, Menelao, sarà disonore ed obbrobrio,
se sbraneranno i cani voraci il fedele compagno
dell’ammirando Achille, sottesse le mura di Troia!».
     E a lui disse cosí Menelao, prode all’urlo di guerra: