Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/184

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410-425 CANTO XIX 181

410ma t’è vicino il giorno che devi morire; e la colpa
noi non abbiamo, ma un Dio ben grande, e la Parca possente.
Non per la nostra lentezza, non già perché fossimo pigri
tolsero l’armi dal corpo di Pàtroclo i Teucri guerrieri:
un Nume fu, fra tutti possente, il figliuol di Latona,
415quei che l’uccise in campo, che ad Ettore diede la gloria.
Correre noi potremo coi soffi di Zefiro a pari,
che piú leggero è di tutti, si dice; ma pure è destino
che tu cada trafitto, per opra d’un uomo e d’un Nume».
     Come ebbe detto ciò, l’Erinni gli tolse la voce.
420E a lui rispose Achille veloce, col cruccio nel cuore:
«Baio, perché m’annunci la morte? Non tu lo dovresti.
Bene lo so da me, ch’è destino ch’io qui cada spento,
lungi dal padre mio, dalla madre; ma pur, dalla guerra
non resterò, se prima non n’abbia satolli i Troiani».
     425Disse; e fra i primi spinse, levando un grande urlo, i corsieri.