Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/198

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290-319 CANTO XX 195

290se non avesse provvisto Posídone, il dio dei tremuoti,
che súbito fra i Numi cosí cominciava a parlare:
«Che cruccio, ahimè, m’affligge, d’Enea dal magnanimo cuore,
che presto scenderà, dal Pelíde trafitto, nell’Ade!
Credette alle parole d’Apollo che lungi saetta,
295stolto! Né quegli da lui tien lungi l’evento funesto.
Ma perché mai, senza colpa, deve esso travagli or soffrire,
a torto, per i crucci degli altri; e pur giunsero sempre
grati i suoi doni, ai Numi d’Olimpo signori immortali?
Ora, su, dunque, adesso, salviamolo noi dalla morte,
300perché non debba poi sdegnarsi il figliuolo di Crono,
se Achille ora l’uccide: ché salvo lo vuole il Destino,
perché senza progenie non resti, perché non sparisca
di Dàrdano la stirpe: ché Giove l’amò piú di quanti
figli mai furono a lui concetti da donne mortali,
305e in odio prese invece la stirpe di Priamo, il Croníde.
Ora la forza d’Enea dovrà comandare ai Troiani:
i figli suoi comanderanno nei tempi futuri».
     Ed Era a lui rispose, la Dea dalle fulgide luci:
«Nume che scuoti la terra, provvedi tu stesso ad Enea,
310o sia che tu salvare lo voglia, o che voglia lasciare
ch’ei sotto i colpi cada trafitto d’Achille Pelíde:
perché ci siamo entrambe legate con giuro solenne,
Pàllade Atena ed io, dinanzi al consesso dei Numi,
che dall’esizio mai non avremmo schermito i Troiani,
315neppur se tutta Troia dovesse soccombere al fuoco
sterminatore, e a sacco la mettano i figli d’Acaia».
     E quando il Dio che cinge, che scuote la terra, ebbe udito,
alla battaglia mosse, dov’era il tumulto dell’aste,
e giunse ov’era Enea, di fronte al famoso Pelíde.