Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/200

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350-379 CANTO XX 197

350Su, dunque, or voglio i Dànai guerrieri esortare alla pugna,
spinger mi voglio avanti, far prova degli altri Troiani».
     E, cosí detto, balzò fra le schiere, esortando uno ad uno:
«Lungi non state piú dai Troiani, o fortissimi Achivi,
movete uomo contr’uomo: desío di combattere v’empia.
355Arduo troppo è per me, per quanto possa essere prode,
a tante genti dietro tenere, combatter con tutti.
Neppur Marte, ch’è Nume, non reggere Atena potrebbe
tanto travaglio, la faccia di tante battaglie affrontare.
Per me, quanto posso io con le mani, coi pie’, con la forza,
360tutto io farò, di nulla, di nulla mi vo’ risparmiare.
Ora attraverso le file m’avvento; e nessun dei Troiani
s’allegrerà, dico io, che a tiro di lancia mi giunga».
     Dunque, cosí li eccitò. D’altra parte, comando ai Troiani
Ettore dava, e diceva che avrebbe affrontato il Pelíde:
365«O valorosi Troiani, timor non abbiate d’Achille!
Io mi saprei misurare perfino coi Numi, a parole;
ma con la lancia è il duro, perché sono troppo piú forti.
E Achille non potrà dare esito a tutto ch’ei dica;
parte lo compierà, parte a mezzo dovrà rimanere.
370Ora io contro gli andrò, se avesse le man’ come il fuoco,
le mani come il fuoco, l’ardir come il ferro fiammante».
     Cosí disse a eccitarli. Levaron le lancie i Troiani
contro il nemico, e la furia cozzò, surse l’urlo di guerra.
E presso Ettore, Febo si fece in quel punto, e gli disse:
375«Ettore, contro Achille non muovere solo alla pugna,
ma tra la folla attendilo qui, dove ondeggia la zuffa,
ch’egli colpir non ti debba, ferir con la spada dappresso».
     Ettore allora indietro, dov’era la calca, si trasse,
ché sbigottí, come udí suonare la voce del Nume.