Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/214

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170-199 CANTO XXI 211

170scagliò contro il nemico, bramoso di dargli la morte;
né giunse il colpo a segno, bensí l’alta ripa percosse,
e nelle zolle restò, sino al mezzo confitta, la lancia.
Ed il Pelíde, dal fianco fuor tratta l’aguzza sua spada,
gli balzó sopra furente; né l’altro poté dal terreno
175con le gagliarde mani strappare la lancia d’Achille.
Tre volte la scrollò, ne l’ansia di svellerla fuori,
tre gli mancò la forza. Pensò di spezzare, una quarta,
il fràssino d’Achille, del corpo fece arco a scalzarlo;
ma con la spada prima gli tolse la vita il Pelíde.
180Vicino all’ombelíco fu il colpo: ne usciron l’entragne
tutte, si sparsero al suolo: un rantolo uscí dalla gola,
tènebra avvolse gli occhi. Sul petto balzatogli Achille,
l’alma gli tolse, e queste parole superbe gli disse:
«Giaci ora qui: coi figli lottar del possente Croníde,
185è troppo dura cosa, sia pure a chi nacque da un fiume.
Tu ti dicevi figlio d’un fiume dall’ampia corrente:
io meno vanto che sono progenie del Re dei Celesti:
m’ha generato un uomo di molti Mirmídoni sire,
Pèleo, d’Èaco figlio; ed Èaco nacque da Giove.
190Quindi, se Giove piú vale dei fiumi che corrono al mare,
anche di Giove i figli piú valgon dei figli d’un fiume.
E un fiume anche ora, qui, ricco d’acque, t’è presso, se mai
possa giovarti. Ma niuno pugnare può mai col Croníde:
non lo pareggia di forze neppure il possente Achelòo,
195neppur la possa immane d’Ocèano dai gorghi profondi,
da cui pur tutti i fiumi fluiscono, e l’acque del mare
tutte, e le fonti tutte, con tutte le grandi sorgive.
E pure, anch’egli teme di Giove la folgore orrenda,
teme l’orrendo tuono, quand’esso dal cielo rimbomba.