Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/224

Da Wikisource.
469-498 CANTO XXI 221

Ma s’adirò con lui la sorella, la Dea cacciatrice,
470Artèmide selvaggia, che tal vituperio gli volse:
«Saettatore, dunque tu fuggi, tu senza contrasto
tutto il trionfo, tutta la gloria a Posídone lasci?
Stolto, perché mai l’arco portare, se a questo ti serve?
Fa’ ch’io non t’oda mai piú vantar nella casa del padre
475come già prima solevi, nel cerchio dei Numi celesti,
ch’eri capace tu di sfidare Posídone a lotta».
     Disse. Ed Apollo che lungi saetta, a lei nulla rispose.
Tutta fremente invece di sdegno, la sposa di Giove
queste parole d’obbrobrio rivolse alla Dea cacciatrice:
480«Cagna sfrontata, che mai presumi di stare a me contro?
Essere dura saprò, saprò contrastar la tua furia,
sebbene destra sei nell’arco: ti fe’ leonessa
contro le donne, Giove, permise che morte a chi brami
dessi; ma meglio per te cacciare per l’alpi le fiere
485ed i selvaggi cervi, che a gara venir coi piú forti.
Ma, se tu vuoi, sperimenta la zuffa, ché ben tu conosca
quanto io sono piú forte di te, che vuoi meco azzuffarti».
     Disse. Ed al polso entrambe le man’ con la manca le strinse,
via le strappò con la dritta dagli omeri l’arco e il turcasso,
490sopra le orecchie colpi le inflisse con quelli, ridendo.
Si dimenava, quella: le frecce giú caddero al suolo;
e lagrimosa sfuggí di sotto, che parve colomba
che lo sparviere fuggendo, s’appiatta nel concavo sasso
d’una spelonca: ché quivi non era suo fato esser presa.
495Cosí la Dea fuggí lagrimosa, e lasciò la faretra.
     E l’Argicida che l’anime guida, rivolto a Latona,
disse: «Non io, Latona, con te pugnerò: dura impresa
è, con le spose azzuffarsi di Giove che i nembi raguna.