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che piú male da solo che insiem tutti gli altri, faceva,
380tutti or d’intorno alle mura tentiamo la sorte dell’armi,
per indagar dei Troiani la mente, che pensino adesso:
o di migrare, lasciando la rocca, or che questi è caduto,
O se resistere ancora disegnan, sebbene sia spento.
Ma dietro quali idee si va disviando il mio cuore?
385Giace di Pàtroclo il corpo, né già seppellito, né pianto
presso le navi; né oblio sarà che giammai me ne colga,
sin ch’io tra i vivi resti, sinché mi sostengano i piedi.
Ché pur se nell’Averno oblio sopravvenga dei morti,
io memoria anche là serberò dell’amico diletto.
390Ora su via, figliuoli d’Acaia, cantando il peana,
presso alle concave navi torniamo, recando l’estinto.
Grande sarà la gloria: ché ad Ettore demmo la morte,
cui ne la rocca invocavano al pari d’un Nume i Troiani».
     Disse; e una sconcia offesa pensò contro il morto nemico:
395i tèndini forò, giú giú, dal mallèolo al calcagno,
dell’uno e l’altro piede, vi strinse guinzagli di cuoio,
e al carro poi l’avvinse, lasciando che il capo pendesse.
Poi sopra il carro salí, l’armi fulgide sopra vi pose,
vibrò la sferza; e pigri non furono al corso i cavalli.
400Un polverio si levava dal corpo via tratto, le chiome
belle pendeano sparse, il viso, che tanto fu vago,
tutto giacea nella polvere. Giove cosí concedeva
nella sua terra materna, di lui tanto strazio ai nemici.
     Tutto cosí si bruttava di polvere il capo; e la madre
405si lacerava le chiome, lontano gittava il suo velo
morbido, e un ululo fiero levava, mirando il suo figlio.
Miseramente anche il padre piangeva, le turbe d’attorno
per tutta la città gemevano, alzavano pianti: