Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/248

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469-498 CANTO XXII 245

e il velo ch’ebbe in dono dall’aurea Cípride, il giorno
470che dalla casa d’Etíone, offrendo gran copia di doni,
Ettore, sposa l’ebbe, l’eroe dal corrusco cimiero.
D’Ettore le sorelle, vicine le furono tutte,
e le cognate a sorreggerla, ch’ella spirata sembrava.
Ma quando poi rinvenne, raccolse gli spiriti in seno,
475levò tra le Troiane, rompendo in querele, la voce:
«Ettore, misera me!, tu ed io con un solo destino
siamo venuti al mondo. Tu, dentro le mura di Troia,
dentro la casa di Priamo; ed io sotto il Placo selvoso,
nella tebana reggia d’Etíone, che me pargoletta
480crebbe a fatale destino! Cosí, deh, non fossi mai nata!
Giú nelle case d’Averno, nell’ime latèbre del suolo
ora tu scendi, e me qui lasci in esoso cordoglio,
vedova nella tua casa. Né ancora favella il bambino
che generammo, infelici, tu ed io: né piú dargli soccorso,
485Ettore, tu potrai, ché sei morto; né questi a te darne.
Ché pur s’egli potrà sfuggir degli Achivi alla guerra,
sempre nei giorni venturi l’aspettano affanni e cordogli.
Altri vorranno certo rapirgli i suoi campi: ché il giorno
ch’orfano un pargolo rende, privo anche d’amici lo rende.
490Gemere deve sempre, bagnare di pianto le gote.
Va, ché lo spinge il bisogno, da tutti gli amici del padre,
chiede un mantello a questo, a quello una tunica chiede.
E chi si muove a pietà, gli porge una piccola coppa,
che, se gli bagna le labbra, non giunge a bagnargli il palato.
495E un bimbo, forse lieto fra i beni, da mensa lo scaccia,
ed a colpirlo avventa le mani, e d’ingiurie lo copre:
— Vattene via, ché tuo padre non siede a banchetto fra noi! — .
E lagrimoso il bimbo ritorna alla vedova madre: