Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/28

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650-679 CANTO XIII 25

650e nella clune destra lo colse: passò la saetta
fuor fuori, sotto l’osso del pube, forò la vescica.
A terra qui piombò, tra le mani dei cari compagni,
fuori spirando l’alma; e a terra giaceva disteso
come un lombrico; e il sangue scorreva, bagnava la terra.
655Presero allora i prodi guerrieri Paflàgoni il corpo,
lo posero sul carro, lo addussero, pieni di doglia,
ad Ilio sacra: il padre moveva con loro e piangeva,
ma prezzo alcun non v’era da rendergli il morto figliuolo.
     E per la morte sua, grande ira arse a Paride il cuore,
660ch’egli era ospite suo fra la gente paflàgona. E pieno
per lui di cruccio, un dardo scagliò dalla punta di bronzo.
Era nel campo un certo Euchènore, figlio del vate
Pòlide: ricco egli era, valente, e abitava in Corinto.
Era venuto ad Ilio sapendo il suo fato funesto,
665ché glie l’aveva spesso predetto il valente suo padre:
o per doglioso morbo soccombere sotto il suo tetto,
o presso ai legni Achèi, per man dei Troiani fiaccato:
egli l’amaro spregio insieme evitò degli Achivi,
e l’odïoso morbo, ché i crucci non volle patirne.
670Alla mascella, sotto l’orecchio fu còlto; e lo spirto
presto volò dalle membra, lo avvolse la tènebra orrenda.
     Cosí pugnavan questi, sembravano fuoco che avvampi;
ma nulla Ettore, a Giove diletto, sapeva, ma nulla
udito avea, che a manca del campo, cosí sterminati
675erano i suoi, che presto poteano soccombere vinti,
tanto l’Iddio che cinge la terra, che scuote la terra
spingea gli Argivi, e a loro soccorso pugnava egli stesso;
ma stando, ove dapprima varcato ebbe il muro e la porta,
frangea le fitte schiere dei Dànai, la siepe di scudi.