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288 ILIADE 140-169

     140Entro il recinto cosí delle navi, la madre e il figliuolo
stavano l’un con l’altro scambiando veloci parole.
E Giove Iri mandò, la Dea velocissima, a Troia:
«Iri veloce, va’, le vette d’Olimpo abbandona,
e, giunta ad Ilio, Priamo cuore magnanimo, esorta
145che vada ai curvi legni d’Acaia, e riscatti suo figlio,
doni ad Achille recando che possano il cuore blandirgli;
e solo vada, e niuno con lui dei Troiani si rechi.
Solo un araldo vada piú vecchio di lui, che i muletti
guidi, ed il carro di ruote veloci, e di nuovo alla rocca
150rechi di Troia il corpo che Achille Pelíde trafisse.
Né della morte accolga timore, né d’altro malanno:
tale un compagno a lui darò: l’Argicída, che guida
gli sia, finché non l’abbia condotto vicino ad Achille.
E poi ch’entro la tenda condotto l’avrà, né il Pelíde
155il veglio ucciderà, né ch’altri gli rechi alcun danno
consentirà: ché sciocco non è, né imprudente, né empio:
ogni rispetto avrà dell’uomo che supplice piange».
     Disse. E al messaggio balzò la Diva dai pie’ di procella
e giunse a Priamo. E qui trovò solo pianto e lamento.
160D’intorno al padre, i figli sedevano dentro la corte,
bagnavano di pianto le vesti; e fra loro il vegliardo
tutto ravvolto stava, nascosto nel manto; e bruttava
molta lordura il collo, la testa del vecchio: egli stesso
con le sue mani raccolta l’avea, voltolandosi a terra.
165E per la casa, le figlie, le suore, levavano pianto,
per la memoria dei loro diletti, che molti, che prodi,
giacean caduti, spenti per man degli argivi guerrieri.
Vicina a Priamo stette di Giove l’aralda, e parole
gli volse a bassa voce: d’un trèmito il vecchio fu còlto.