Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/300

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410-439 CANTO XXIV 297

410ma giace ancora, o vecchio, vicino alla nave d’Achille,
tuttor presso alla tenda. Già sorte son dodici aurore,
e il corpo ancor marcito non è, né lo vorano i vermi
che pur rodono i corpi degli uomini spenti in battaglia.
Sempre, d’intorno al corpo del suo prediletto compagno,
415appena è l’alba, senza pietà lo trascina il Pelíde;
ma pur non lo deturpa: veder lo potrai da te stesso,
com’è rorida ancora la salma, e detersa dal sangue,
né punto lorda; e tutte si sono richiuse le piaghe,
quante ne aveva; ché molti su lui spinto avevano il ferro.
420Tanto del figlio tuo si dàn cura i Beati Celesti,
sebbene egli sia morto: tanto essi l’amavan d’amore».
     Cosí diceva; e, lieto, cosí gli rispose il vegliardo:
«O figlio, è saggia cosa le debite offerte ai Celesti
porgere. Il figlio mio, quando era ancor vivo, oblioso
425non fu mai, nella reggia, dei Numi signori d’Olimpo,
perciò, pure nel fato di morte, han memoria di lui.
Orsú, dalle mie mani tu or questa coppa gradisci,
e me proteggi, e guida mi sii, con l’aiuto dei Numi,
sin ch’io presso la tenda d’Achille Pelíde sia giunto».
     430E l’Argicída che l’anime guida, cosí gli rispose:
«Me che son giovine, o vecchio, tu tenti; né farmi convinto
potrai che accetti, senza che Achille lo sappia, il tuo dono.
Possibile non è, tanto io lo rispetto e lo temo,
ch’io lo defraudi; e poi, potrebbe colpirmi sciagura.
435Ma per guidare te, verrei sino ad Argo l’eccelsa,
sopra una rapida nave movendo, movendo anche a piedi:
niun, s’io ti guido, potrà sprezzarti né offenderti, o vecchio».
     E, cosí detto, il Nume benigno balzò sopra il carro,
rapidamente, in pugno stringendo la sferza e le briglie,