Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/44

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169-198 CANTO XIV 41

E con ambrosia linfa da prima le amabili membra
170tutte purificò, le asperse di limpido unguento
divino, ch’ella aveva, piacevole, tutto fragrante:
con l’agitarlo solo, dal bronzeo palagio di Giove
se n’effondeva l’olezzo pel cielo e per tutta la terra.
Tutte con questo la Dea cosparse le belle sue membra,
175si pettinò la chioma, le fulgide trecce compose,
lucide, belle, tutte fragranti, sul capo immortale.
Ed una veste poi magnifica cinse, che Atena
tessuta avea per lei, lavorata, adornata di molti
ricami: la fermò sul seno con fibule d’oro,
180cinse alla vita una zona ornata di pendule frange;
poi gli orecchini infilò nei lobi forati, a tre gemme,
riscintillanti: attorno spandeasi fulgore di grazia.
Poi con un velo coprí, la Dea fra le Dee, la sua fronte,
bello, tessuto di fresco, che al pari d’un sole fulgeva.
185Infine, strinse ai piedi suoi nitidi i sandali belli.
E poi ch’ebbe cosí tutte adorne le vaghe sue membra,
dalla sua stanza uscí, chiamò la divina Afrodite,
e le parlò, dagli altri Celesti lontano, in disparte:
«Vuoi tu, figliuola mia, concedermi quello ch’io chiedo,
190oppur darmi vorrai rifiuto, sdegnata nel cuore
perché sono io dei Dànai sollecita, e tu dei Troiani?
     E a lei cosí rispose la figlia di Giove Afrodite:
«Era, Dea veneranda, figliuola di Crono possente,
di’ ciò che brami, parla: ché l’animo a compierlo ho pronto,
195se pur farlo m’è dato, se cosa è che compiersi possa».
     Ed Era a lei rispose, che frodi volgeva nel cuore:
«Dammi or l’Amore, dammi la Brama onde tu gl’immortali
dòmini tutti, e tutte le stirpi di genti mortali: