Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/66

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230-259 CANTO XV 63

230tu stringi, e metti in fuga, squassandola forte, gli Achivi.
E cura, abbi tu stesso, Signore che lungi saetti,
d’Ettore: in lui gran possa ridesta, sin quando alle navi,
all’Ellesponto, in fuga sospinti, pervengan gli Achivi.
Di lí provvederò, con parole o con opere, io stesso,
235ch’abbiano, infine, qualche sollievo gli Achei dal travaglio».
     Cosí diceva. E Apollo fu pronto al comando del padre,
e dalle vette dell’Ida si mosse; e pareva sparviere
che le colombe strugge, che supera al volo ogni uccello.
Ed Ettore trovò, di Priamo il figlio divino,
240che non giaceva piú. Sedeva; e lo spirto, di nuovo
ripreso, attorno a sé ravvisava i compagni; e cessati
erano affanno e sudore, ché Giove l’aveva riscosso.
Standogli presso, il Nume che lunge saetta, gli disse:
«Ettore, figlio di Priamo, perché qui, lontano dagli altri,
245siedi spossato? Qualche dolore t’opprime di certo».
     Ettore, ancora spossato, rispose con queste parole:
«E chi sei tu, benigno fra i Numi, che questo mi chiedi?
Non sai dunque, che presso gli estremi navigli d’Acaia
il valoroso Aiace, mentre io gli abbattevo i compagni,
250me con un gran macigno percosse, fiaccò le mie forze?
Ed io credevo ch’oggi fra i morti alla casa d’Averno
sceso sarei: ché il cuore mancar mi sentivo nel petto».
     E allora Apollo, il Nume che lunge saetta, rispose:
«Ora fa’ cuore: tale dai picchi dell’Ida un compagno
255che ti stia presso e difenda ti manda il figliuolo di Crono:
me, Febo Apollo, il Dio dall’aurea spada, che sempre
uso a difesa tua vegliare, e di Troia l’eccelsa.
Dei cavalieri, su’ via, sospingi le fitte coorti,
che spingan verso i neri navigli i veloci cavalli: