Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/74

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469-498 CANTO XV 71

e il nervo franse, or ora ritorto, ch’io stesso vi strinsi
470stamani, ché reggesse, per molti che fossero, ai dardi.
     E a lui queste parole parlò di Telamone il figlio:
«O caro, lascia l’arco da parte, e le rapide frecce,
poscia che vane un Dio te le rese, che invidia gli Argivi,
stringi la lunga zagaglia, sugli omeri gitta lo scudo,
475e coi Troiani tu stesso combatti, e fa cuore alle genti.
Non prenderanno, sebbene siamo or sopraffatti, le navi,
senza fatica: prove daremo del nostro valore».
     Cosí gli disse. E l’arco lasciò nella tenda il fratello.
Sopra le spalle uno scudo di cuoio quadruplice pose,
480bene costrutto; un elmo sul capo gagliardo, di chiome
equine adorno: sopra, tremendo accennava il cimiero;
prese una salda lancia, dal cuspide aguzzo di bronzo;
e mosse; e fu ben presto, correndo, vicino ad Aiace.
     Ettore, poi, come vide le frecce di Teucro fallire,
485levando un alto grido, si volse ai Troiani ed ai Lici:
«Lici, Troiani, e a pugnare da presso voi, Dàrdani, prodi,
uomini siate, amici, volgete alla fiera battaglia
tutto l’animo vostro: ché io con questi occhi ho veduto
fiaccate in pugno a un prode, per mano di Giove, le frecce.
490È ravvisar la possa di Giove ben facile impresa
per i mortali, sia per quelli a cui gloria concede,
sia per quelli a cui nega soccorso, e li vuole depressi,
come or vuole depressi gli Argivi, e soccorre i Troiani.
Serratevi, su’ via, piombate sui legni; e se alcuno
495debba, trafitto o colpito, soccombere al fato di morte,
muoia: non è senza gloria morir difendendo la patria.
E salva la sua sposa sarà, saran salvi i suoi figli,