Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/76

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529-557 CANTO XV 73

Fattosi presso a Filíde, la lancia nel mezzo allo scudo
ei gli vibrò; ma il colpo schermiva la salda corazza
530ch’egli portava, tutta composta di piastre: Filèo
l’avea recata un giorno da Efìra, dal fiume Sellento,
ché a lui l’ospite Eufète, signore di genti, la diede,
ché la portasse in guerra, riparo dai colpi nemici,
come proprio or le membra del figlio schermí dalla morte.
535E Mege lui colpí nell’elmo crinito di bronzo,
a sommo del cimiero, con l’asta dal cuspide aguzzo,
e ne recise via l’equino cimiero, che tutto
cadde, com’era, tinto da poco di porpora, al suolo.
Mentre Dòlope ancora pugnava, e sperava vittoria,
540giunse, a rincalzo, il prode guerrier Menelao, che furtivo
stette di fianco a lui, gli piantò ne la spalla la lancia.
Avidamente il petto la punta, spingendosi innanzi,
passò da parte a parte: mancò, cadde quegli boccone.
Megète e Menelao si lanciarono entrambi, per tòrgli
545l’arme di bronzo, e predarle. Ma Ettore un grido ai fratelli
rivolse: a tutti; e primo sgridò Melanippo gagliardo,
d’Ichetaóne figlio. Costui, per l’innanzi, a Percòte
pasceva i lenti buoi, sin ch’erano lungi i nemici;
ma poi che degli Achivi fûr giunte le rapide navi,
550era tornato ad Ilio, distinto fra tutti i Troiani,
ospite in casa del re, che al pari d’un figlio l’amava.
Ettore a lui parlò, volgendogli questa rampogna:
«O Melanippo, dunque cosí cederemo? Né punto
ti si sconvolge il cuore, vedendo il cugino trafitto?
555Non vedi, quanta ressa per l’armi di Dòlope? Resta,
seguimi: piú non si può combatter da lungi gli Argivi: