Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/96

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289-318 CANTO XVI 93

cadde supino al suolo; fuggirono tutti i compagni
290d’intorno a lui: ché Pàtroclo in tutti gittò lo spavento,
come ebbe ucciso il duce che primo era ognor nella zuffa.
Cosí via li scacciò dalle navi, ed il fuoco rapace
spense, e rimase lí semispenta la nave. E i Troiani
con infinito clamore fuggirono; e i Dànai su loro
295via per le concave navi; né mai posa aveva il clamore.
Come allorché dalla vetta piú alta d’un’alta montagna,
Giove che i folgori desta disperde la nuvola fitta,
e appaion tutti i picchi, le balze ed i vertici sommi,
e giú dal cielo erompe la luce dell’aria infinita:
300cosí gli Achei, respinto dai legni l’incendio funesto,
ebbero un po’ di respiro. Né pure ebbe tregua la guerra:
perché sotto la spinta dei Dànai prodi, i Troiani
non recedevano in rotta dai negri navigli, ma fronte
faceano ancora, e a stento cedevan, lasciavan le navi.
     305Qui, sparpagliata la mischia, l’un l’altro colpivansi i duci.
Pàtroclo primo fra tutti, il prode figliuol di Menezio,
colpí con l’asta aguzza nel femore il prode Arilòco,
mentre si stava voltando: passò parte a parte la punta,
ruppe la cuspide l’osso, rovescio piombò nella polve.
310E Menelao, diletto di Marte, nel seno Toante
ferí, dov’era ignudo, di sotto a lo scudo, e lo spense.
Filèide, còlto il punto che Ànficlo innanzi balzava,
l’asta lanciò, lo prevenne, colpendolo dove piú grossa
è delle gambe la polpa: d’intorno alla punta dell’asta
315franti cederono i nervi, sugli occhi la tènebra scese.
E dei Nestòridi, l’uno, Antiloco, Atimnio trafisse,
con la sua lancia aguzza, fuor fuori passandogli il fianco.
Cadde bocconi; e Mari, che vide cadere il fratello,