Pagina:Imbriani - Dio ne scampi dagli Orsenigo, Roma, Sommaruga, 1883.djvu/180

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170 Dio ne scampi

sciatta! Non mi sono, neppur, pettinata. Prima, quando usavano gli scialli, che beatitudine! Bastava buttarsene, addosso, uno, per coprire qualunque disordine di toletta. Ora, è una disperazione. Basta! così, mi pare di potermi presentare, senza troppa indecenza.» - S’era ravviati i capelli, in fretta, in fretta, con un pettinino; aveva stretti i nastri e composto le pieghe del camice; ed entrò in salotto.

Chi l’aspettava, quella signora, era la Ruglia-Scielzo. Che le buttò, subito, le braccia al collo; e, quasi piangendo, ripeteva: - «Radegonda, Radegonda mia, cara, non mi riconosci?» -

— «Almerinda!» - esclamò la Salmojraghi-Orsenigo, sorpresa e dolente.

— «Sì! l’Almerinda tua. L’Almerinda, che ti deve e ti ama tanto; ed, alla quale, non hai più scritto, tu, obliviosa.» -

— «Ma come hai risaputo, che io torno, qui?» -

— «Ho chiesto; mi sono informata! Vengo, apposta, da Napoli, per abbracciarti. Io non mi voglio trascurata, da te.» -

— «Ma, dimmi: sai, ch’io son divisa, da mio marito?» -

— «So!» - Qui, una breve pausa. - «Tuo marito, anch’egli, è qui; lo ho rivisto stamane. Lui mi ha detto, dove alloggiavi.» -