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versi e forse troppi incarichi per Milano, dati gli ultimi saluti con un certo stringimento di cuore e bevuta l’ultima birra per soffocare la commozione incipiente, m’afferrai alla cassetta con una mano e misi un piede sul predellino per balzare in carrozza.

Mi ferma, io non era nè dentro nè fuori, la grossa voce del vetturale:

“Completa, signore.”

“Va all’inferno!” gli avrei risposto con l’anima “quello non è ancora completo”; ma, per l’occasione, spianai la faccia che s’era già fatta rugosa e gli domandai, ritirando il piede dal predellino e la mano dalla cassetta, se mi avesse potuto cedere un po’ di posto al suo fianco.

“C’è un baule”, mi disse l’altro con la sua voce rozza e profonda, che in quel momento mi parve canzonatoria.

Gli avrei voluto, col permesso dei proprietari del baule, domandar licenza di potermici seder sopra, in qualche modo, magari volgendo anche le spalle al cavallo, se la posizione fosse stata più comoda; ma il curato, che m’accompagnava, mi toccò nel gomito e mi susurrò che, per la vettura, avrebbe provveduto egli stesso.

Fidando nella sua promessa mandai giù l’ultimo sorso amaro di birra, salutai i signori che dovevano partire con la diligenza e che mi guardavano beffardamente, e tenni dietro al buon curato, che aveva già qualche piano prestabilito in mente.

Mi seguì anche il resto della comitiva, divisa