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da dire. Il pezzo di pietra ollare, che dovrà diventar laveggio e passerà nelle case, sui fuochi per cuocere la polenta e la minestra, gira intorno a se stesso, intanto che l’operaio, con un istrumento, chiamato verga, descrive un piccolo solco laterale interno e lo allarga e lo approfondisce, finchè gli pare d’esser vicino alla parte inferiore della pietra: allora, con altro strumento speciale, che ha nome misura, tasteggia la profondità e, se è sufficiente, lascia la verga per usare il sedone, ferro ricurvo in fondo e appuntito, che introduce nel solco, mantenendone la punta nell’interno del laveggio.

Quando però essa è entrata tutta, ed ha tagliato in modo orizzontale una breve porzione di pietra sul fondo, bisogna cambiare il sedone, pigliandone uno con la punta più lunga; questa raschierà per un altro tratto, avvicinandosi man mano al centro inferiore del laveggio, e, surrogata da un’altra ancora più lunga, finirà per raggiungerlo: allora dal blocco verde vedremo uscire un solido, in tutto simile a un cono tronco, e dinnanzi all’occhio nostro apparirà perfetta la conca del paiolo.

Ma l’operaio che lavora, chino sopra la pila, con l’occhio intento, perchè la pietra non si screpoli, cinto dalla polvere che gli entra nello stomaco, nelle orecchie, che gli vela la vista e gli fa grigi i capelli, non potrà certo continuare per molti anni l’ingrato mestiere.

“A noi duole troppo spesso qua!” mi diceva


G. Nolli. In Valmalenco - 9