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Curlo sul Mallero, poi, seguendo sempre il fiume, ricordo d’essere passato per le cave d’ardesia, d’aver faticato sui poggi e d’essere disceso in faccia a S. Giuseppe, d’aver continuato per due grandi spianate percorse da lingue d’acqua, poi, attraversato pinete fragranti, e, finalmente d’essermi fermato a Chiareggio: qui si è intrapresa la salita dell’alpe Pirola che continua tuttora. Si cammina, senza riposo, per la montagna disagevole, guardando tratto tratto fra i pizzi acuti e selvaggi, da dove scendono frane immani e dirupi.

E avanti, avanti! In cima d’uno di essi il maestro, che guida, ha un oh! lieve di soddisfazione e un gesto che prega di fare silenzio.

Gervaso ed io gli siamo ai fianchi.

Sotto di noi, quasi ai nostri piedi, è il lago Pirola, originalissimo per la limpidezza azzurro chiara delle sue acque, circondate da spiaggie rotte, acuminate, che pare abbiano terminato allora allora d’azzuffarsi e sieno rimaste in un disordine incredibile, indescrivibile.

La mia impressione prima, dinnanzi al lago Pirola, è quella di soprastare all’opera demolitrice di un’immensa mina, che, dilaniatoli vertice della montagna, abbia al fumo, alle fiamme, allo scroscio, lasciato sottentrare l’acqua azzurra e cristallina, nella quale, senza pericolo, guizzano le trote macchiettate di rosso.

Il lago ha meno di un chilometro di lunghezza e forse mezzo di larghezza; in esso si rispecchiano con tremolio leggero, quasi senza velo, le cime della Pirola che vi piombano a picco.