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mani, come pronti a riparare un imminente pericolo.
E l’automobile arrivò in mezzo alla sua nube di polvere, col suono ininterrotto della cornetta, passando quasi sui piedi a quelli che facevano ala ai due lati, e che si erano ristretti più ancora in se stessi, pallidi, stravolti.
Che emozione! poveretti! Essi guardarono dentro la vettura aspettandosi di vedere forse degli esseri diversi, soprannaturali, e invece scorsero proprio e soltanto una signora paffuta e sorridente; un uomo dal capello e dalla barba appuntita che guidava, fumando una sigaretta, e, dietro, con uno spavaldo copritesta, un giovanotto che salutò con la mano.
Pure l’essere soprannaturale che dirigeva l’automobile bisognava trovarlo; e si trovò nello chauffeur.
Quel vestito e quel berretto di tela cerata, e, per di più, quel rimanere appostato sul predellino della carrozza, colpì la fantasia dei lanzadaschi; era lui, certo, che dava il movimento, la vita, che faceva fremere il mostro, era nell’anima sua che la macchina attingeva l’émpito nelle salite e l’agile prudenza nel discendere; era per lui che nessuno aveva patito sfregio e tutti i piedi avevano conservato le dita e le pancie non erano state sfondate.
Bisognava quindi onorarlo.
Ma quando, dinanzi l’alberghetto di Gian Paolo, videro che l’essere soprannaturale tracannava a piena gola una bottiglia di birra, come qualun-