Pagina:In faccia al destino Adolfo Albertazzi.djvu/183

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morte dell’asino come non piangerebbe la morte di sua moglie. E c’è chi mi crede un uomo diverso dagli altri!

Con la mia stessa ironia Ortensia ripetè la frase udita più volte da me:

— Ogni infamia è possibile....: anche che lei non sia diverso dagli altri.

Tacqui, io, ora; e forse per il mio silenzio la sua speranza si ridestò in un tentativo estremo.

— Da tanto tempo — mormorò — io mi son detto che non c’è uomo eguale a lei. Perchè dovrei essermi ingannata?

Era pur dolce sentirla parlare senza ironia, senza amarezza, con pentimento, con fede! Tacevo.

Fissandomi quasi per accendere ne’ miei occhi smarriti la fiamma che aveva nell’anima e per vincermi con una confessione ardita e violenta:

— Sì! sì! — ripetè senza dire di più.

Sì: non si era ingannata; voleva non essersi ingannata nel concetto di me; sì, mi amava. Ma io chinai il viso....; non volevo vedere ciò che di più sublime può attingere l’idealità e la passione umana: come nella bella e fiorente giovinezza di una tal creatura una misteriosa inspirazione aveva reso perfetto il sentimento della vita con l’improvviso palpito dell’amore.

Essa.... Ancora sperava?

— Mino — disse dopo un poco — m’ha chiamata, stamattina al suo letto per dirmi in un orecchio: «Se Sivori mi prende a Milano, ci vieni anche tu. Ortensia?»

Mi riferiva l’innocente domanda del fratello per intenerirmi; ma fu come non avessi udito.

— Da Milano, lei, va dopo a casa sua, a Molinella?