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Non uscii che quando ebbi udito il rumore della carrozza.
— Se perdi la corsa, casca il mondo! — brontolò Claudio. — Non mi sono fidato di nessuno; neanche della sveglia! Andiamo?
— Aspetta.... — diss’io. — Indosso il paletot.... I guanti? Sono qui.... Aspetta! Ho lasciato l’ombrello.
— Andate a prendergli l’ombrello! Presto!
— Il caffè, signor dottore? — pregava la vecchia cameriera reggendo il vassoio con le due mani.
— No, grazie....; scotta.
— Bevi....; c’è tempo!
Eccola....: Ortensia.
— Perchè alzarti? — La mia mano tremava reggendo la tazza.
— Quando la rivedremo? — ella disse; perchè il padre la guardava.
Ecco anche Marcella.
— Ohe! signorine complimentose! Vostro padre, non si saluta?
E a me Claudio ripeteva burbero: — Andiamo?
Marcella disse: — Buon viaggio, Sivori; non si dimentichi di noi. Ci scriva! Ci scriva spesso!
— Addio.... — La sua mano era fredda.
Quando già salivamo in cairozza giunse anche Mino; senza bugie, ma, caso mai non tornassimo tosto, con la tromba in una mano e il tamburello nell’altra.
— Vengo con te, Sivori!
— Via! — gridò il padre, frustando Sansone.
— Addio!
— Buon viaggio! Buon viaggio! — ripetevano Marcella e i servi».