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IX.


E nello stesso giorno, partenza per Molinella!

Non era più per mie, allora, un destino assurdo che in pochi giorni mi sbalzava da Berlino a Milano, da Milano a Valdigorgo, da Valdigorgo al mio piccolo paese nella pianura emiliana. Mi trasportavano volontà e coscienza: più forti anche del dolore, più forti anche dell’amore!

L’amore?... Quale speranza poteva restarmene, ormai? La mia passione era stata una colpa e doveva avere il suo castigo. Ogni illusione doveva cedere alla realtà, che mi rinchiudeva, mi stringeva come in un cerchio di ferro. Il mio soccorso cancellerebbe nel cuore di Ortensia fin le ultime tracce d’amore, se vi rimanevano; ed io con l’azione che stavo per compiere confermavo irremovibilmente, per sempre, l’antico proposito di essere per Ortensia un fratello: non altro.

Ma è pur vero che il dolore aggiunge lume alla bellezza! Ancora ancora, avidamente, mi richiamavo l’immagine d’Ortensia alla memoria: più alta della persona; con quegli occhi che un tempo avevan solo un riso di gioia e adesso ardevan di sdegno o si velavano d’angoscia; con il viso un tempo pieno e roseo ed ora pallido e magro, ma come illuminato da una luce ideale: con le belle mani, che un tempo ella recava a sollevare dalla fronte l’onda dei capelli copiosi ed ora stringeva in uno spasimo di preghiera; con quelle attitudini decise, quei moti improvvisi, non più indizio come un tempo di un fervore di giovinezza sana e