Pagina:In faccia al destino Adolfo Albertazzi.djvu/320

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Io osservavo il solo albero del prato: un lazzeruolo a rami nodosi e involti.

— Fronte indietro!

Claudio ora m’indicava la disposizione degli ambienti.

— A terreno, loggia, salotto, camera da desinare, cucina; di sopra, a mezzogiorno, la camera di noi vecchi; quella di Mino, a ponente; quella di Ortensia a levante; quella dei forestieri, a nord. Va bene? Passiamo all’interno!

Su la porta l’ortolano trattenne Claudio per avvertirlo di non so che cosa, ed Eugenia, ch’era rientrata con Ortensia a continuar la faccenda della biancheria, colse il momento e mi disse, con commozione:

— Sivori: non ci siamo più riveduti dopo quanto faceste per noi....

— Non ne parliamo! — risposi io, mentre lo sguardo di Ortensia mi avvolgeva.

— Ma — ribattè Eugenia — noi dobbiamo dirvi anche a voce come vi siamo grati, tutti. — E si volse alla figlia quasi meravigliata del suo silenzio.

— Tutti; per sempre! — Ortensia disse con voce viva e forte.

Gratitudine viva nel cuore per sempre: così disse; così vedevo; ma nei begli occhi non era più l’anima di una volta.

— Non è uno scalone — disse Moser entrando, in fretta come era solito, e precedendomi per la piccola scala.

Appena di sopra entrammo nella camera matrimoniale.

— Il letto, vedi, è un documento storico. Però io ci sto da papa.