Pagina:In faccia al destino Adolfo Albertazzi.djvu/332

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Era un soffoco di fumo greve, un tanfo di canne abbruciacchiate. E non una voce....; nessuno!

Morii?... Fossero almeno morti, prima...., d’asfissia!

Ah no!

Dio! Dio!... no; un vlgito! là! Dinanzi all’uscio, era; in un involto di cenci! Là era il bambino! Lo raccolse, la madre; riebbe la voce: un grido di gioia sovrumana: — El mi ragazzól! — mentre là dentro.... Nessuna altra voce!; muto, anche l’incendio.

D’impeto, senza coscienza del pericolo, avanzai alla porticella: ma fui respinto dal fumo infuocato, come per l’urto a una parete solida. Ritentai (la donna urlava adesso il nome del marito, strappava l’anima). Dovetti ritrarmi, appena in tempo! Con fracasso il tetto precipitò; l’abituro si sfasciò in una rovina fiammeggiante e fumante....

Non so dire in che modo urlava e che diceva quella donna frenetica col bambino in braccio; non posso ricercare quello che io provassi allora assistendo al fumare della rovina; a immaginare il corpo umano che si era contorto nelle fiamme; a comprendere la verità....

Compresi la verità a poco a poco. Un istinto di generosità paterna, l’amor di padre aveva spinto quell’uomo delirante a mettere là in salvo, dalla sua disperazione, la piccola creatura; poi, con mostruosa demenza egli aveva dato fine al male che lo affannava, aveva dato fuoco alla sua intollerabile miseria.