Pagina:In faccia al destino Adolfo Albertazzi.djvu/345

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reste tornato per chiedermi ai miei in isposa. Pazza addirittura: vi aspettavo per il dì del mio compleanno! In questa speranza avevo ore di tal gioia, di tal fede che mi pareva di essere felice come da bambina. Ma queste furon poche ore; quante ore invece furono atroci!

A questo punto Ortensia passò di nuovo la mano su la fronte e disse:

— No. Son cose che non posso, non debbo confessarvi!

— Parla! — gridai io riafferrandole la mano e dimostrando con che passione l’ascoltavo. — Debbo saper tutto il male che t’ho fatto!

— Ma non tutto il male che m’han fatto gli altri.

Col brivido di pocanzi insistetti:

— Gli altri: chi? Anna Melvi? L’ho immaginata la sua perfidia.... Parla; di’ tutto!... Voglio saper tutto!

— No! — ripetè. — La perfidia di Anna aveva, del resto, lo stesso motivo del mio dolore, della mia disperazione. Anche per lei c’era un mistero. Perchè mi abbandonaste?

Gli occhi d’Ortensia mi fissavano con intensità.

Vedevo orrore nelle sue rimembranze le pensai ch’ella mi rinnovasse quella dimanda, conoscendo interamente la malignità di Anna. La fissai a mia, volta, e adagio, con voce divenuta sicura, e con la forza della coscienza le dissi:

— Ortensia! Io sono un miserabile risorto alla vita. Ma non si risorge alla vita senza riacquistare una fede. Almeno questo credo: che mia madre non sia morta del tutto. Il suo spirito aleggia forse intorno a noi. Ella forse mi ode. Ebbene: per l’anima di mia madre che io cre-