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valiere la pronunciò, il ragazzo rimase sbigottito. Che conseguenza ebbe questo sbigottimento! Produsse lo scoppio della bomba che Marcella aveva predisposta e affidata al fratello, dopo colazione.
— Ruse — Mino si provò a ripetere. — Cosa vuol dire?
Io, che avevo visto negli occhi di Eugenia e di Ortensia quant’esse disdegnavano la teoria del cavaliere e che sentivo il bisogno di sfogarmi, risposi:
— Ruse, nel significato che vi attribuisce il cavalier Fulgosi, vuol dir accortezza per far quattrini a prezzo dell’infamia; vuol dire sguazzare nel fango senza affogarvi; vuol dir l’abilità di contaminare la virtù, l’onore, la dignità umana senza incorrere in alcuna pena.
Il cavaliere s’inchinò esclamando: — Bravo!
Ma tant’è la significazione che può assumere una parola, che Moser rivolto a Mino aggiunse per conto suo:
— Quella parolaccia vuol dire anche che non sempre chi ha ingegno, è bravo, ha voglia di lavorare, è un galantuomo. Chi poi non ha nemmeno voglia di studiare....
Ne prevedesse, del tutto o in parte, la conclusione morale Mino interruppe il padre con un’affermazione che gli pareva incontestabile:
— Io sono un galantuomo!
— No — ritorse l’altro, inquieto. — Chi non ha voglia di studiare non è un galantuomo!
Ma Mino non tacque. Consultò, guardandola, Marcella, e nel modo di chi medita tra sè e sè disse:
— Adesso dovrò studiare più di due ore al