Pagina:Invernizio - La trovatella di Milano, Barbini, Milano, 1889.djvu/58

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la guantaia di cui mi parla...? Io non ci vedo più, mi sembra che il cervello mi si turbi... è un orribile incubo questo...

Si rovesciò sulla seggiola come annientato, torcendo fra le dita convulse il foglio, mentre la bocca gli si raggrinzava agli angoli e gli occhi si empivano di lacrime.

Soffriva spaventosamente ed era da quasi un mese che aveva il cuore straziato.

Perchè la contessina senza una parola, una spiegazione, non si era più fatta vedere da lui, non aveva mai risposto alle sue lettere traboccanti di amore, di dolore disperato. Che era successo? Che mai le aveva fatto? La sua coscienza nulla gli rimproverava: egli non viveva che per Adriana; l’amava con culto, santamente, fino alla febbre, alla follia.

E dopo un mese di torture inaudite, non trovando forse di averlo reso abbastanza infelice, la giovine si prendeva giuoco del suo dolore, con quella lettera enigmatica, insultante.

Ricacciò con forza le lacrime e risoluto si alzò. Non credeva alle parole di lei: era un tranello. Voleva vederla per l’ultima volta, parlarle, esigere una spiegazione. Se ella ricusava, sarebbe diventato cattivo, crudele.

Uscì di casa sconvolto, agitato ed aveva dipinto sul volto tanto strazio, che alcune persone si fermarono a guardarlo.

— Colui medita un suicidio, — pensavano.

Giunto dinanzi al palazzo di Adriana, si sentì piegare le gambe e dovette appoggiarsi al muro