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86 | altre poesie |
Pria che tu spregi, lascia ch’io ti dica,
Se onorar tu le puoi quanto conviene.
Questo, onde illeso ancor traluce, e viene
Lume di nobiltà verace antica;
Spesso in pugna atterrar squadra nemica,
E la patria salvar dalle catene.
Queste, in cui Roma volle il fren deporre,
Intiman legge a Lei, che già s’accinge
Leggi, per opra d’esse, all’orbe imporre.
Forti il vizio domar che Roma stringe;
Forti l’oro a sprezzar, più che a raccorre:
L’oro, che più del fango imbratta e tinge.
La storia corona un buon re.
Nell’Accademia degli Affidati sopra la Storia.
Gran Re, che riverente il secol mira
Segnar di pace, e di giustizia i giorni;
E a noi discendi, e in un balen ritorni,
All’altezza ove l’aquila s’aggira.
Se sprezzi vil lusinga e suon di lira,
De’ raggi proprii al par del Sol t’adorni:
Al dolce freno, di che il cor n’attorni,
La consolata umanità respira.
Verrà, verrà, della fedele Istoria
Non istrutto a mentir l’eterno suono;
E porterà nel ciel di te memoria.
Pronto l’ardir: pronte le trombe sono.
Quanti regi arderan de la tua gloria!
Quanti n’invidieran l’ombra del trono!
I pensieri.
Onde, o pensier diversi.
Nascete; e quai color mille vestite?
Chi vi spinge, o perversi
Indocili fratelli, a tanta lite?
Ora lucenti e tersi,
Più d’Icaro superbi al ciel salite;
Or da Aquilon dispersi,
Cader vi veggo alla magion di Dite.
Chi dell’amor col foco,
E chi dell’ira armato in campo viene;
A voi del coro il vacuo immenso è poco.
Perfidi, chi v’induce
Un crudo gioco a far d’ogni mio bene;
E quel sen lacerar che vi produce?