Pagina:Irving - Lo straniero misterioso (1826).djvu/13

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casse i luoghi d’unione, e andasse ansiosamente in traccia del passatempo e ancor dello strepito; ma poi non mostrava prendere la menoma parte alle cose che gli accadevano innanzi, o fossero serie, o piacevoli. Sempre il vedevate come immerso in qualche penosa meditazione, sempre agitato da una tetra preoccupazione di mente; sempre quelle ripetute stravaganti vicende dell’occhiata volta alla spalla, e ritrattane con successivo terrore. Io non sapea su le prime spiegare a me stesso se tale stranezza derivasse in lui da un timore di essere arrestato, ovvero ancora da insidie paventate per la sua vita. Ma in entrambi i casi, perchè andar così attorno senza ritegni? Perchè avventurarsi così a tutte l’ore, io tutti i luoghi della città?

Divenni ansioso di conoscere questo straniero verso cui mi attraea quella fantastica simpatia, che non è tanto rara, nè priva di scambievolezza fra i giovani. La sua mestizia avea tratta su i miei occhi una malia che aumentavano, non ne dubito, la commovente espressione del suo volto e le grazie delle sue forme, perchè i pregi della bellezza producono il loro effetto anche fra persone del medesimo sesso. Pur mi rimaneva a superare quel senso, non so s’io dica di diffidenza, o collegialesco imbarazzo, che prende noi Inglesi ogni qual volta cerchiamo contrarre vincoli di sociale scambievolezza cogli stranieri: lo vinsi; e col frequente incontrarmi col mio giovine nel casino, me gli ficcai, posso dire, in famigliarità da me stesso. Non dovetti, per vero dire, lottar molto con la ritrosia dell’individuo ch’io stava procacciandomi amico; egli sembrava anzi uomo da far briga per aver compagnia, e niuna cosa piaceagli meno del restar solo.

Laonde quando s’accorse che le mie premure per lui erano sincere, si abbandonò affatto alla mia amicizia. Mi cercava come s’io fossi la sua tavola del naufragio. Avrebbe per intiere ore camminato meco su e giù per la piazza di San Marco; seduto nelle mie stanze, parca non