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capace di nodrire tant’odio, e tanto odioso com’io supponea.

Io mi avvicinava all’età di sedici anni quando, in certa occasione, mi fu permesso accompagnare uno de’ nostri frati che andava in missione in un luogo distante di lì. Lasciataci presto dietro le spalle la trista valle ov’io era stato imprigionato diversi anni, e dopo un breve cammino in mezzo a que’ monti, si scoperse alla mia vista il voluttuoso paese che si dilata intorno alla baia di Napoli. Potenze del cielo! Ove mi credei io trasportato, allor quando portai all’intorno lo sguardo sopra una vasta estensione di deliziosa ed aprica contrada, tutta rallegrata da boschetti e vigneti; sul Vesuvio a destra che sollevava la biforcuta sua cima; a sinistra su l’azzurro Mediterraneo e le incantatrici sue coste, ornate di splendide città e di sontuose ville; sopra Napoli, sopra la nativa mia Napoli che raggiava di lontano — di lontano a malgrado della distanza.

Dio! Dio! Era questo il delizioso mondo da cui m’avevano escluso? Io toccava l’età degli affetti in pieno fiore e freschezza, e i miei affetti erano stati costretti e ammortiti; allora sbucciarono con l’impeto di un getto d’acqua che prima fu rattenuto. Il mio cuore, fino a quel punto chiusa ad onta della Natura, si espandea in un vortice di moti, indefiniti sì ma pur deliziosi. La bellezza della Natura m’inebbriava, mi traeva fuor di me stesso. Il canto dei contadini; la giocondità che sfavillava ne’ loro sguardi; la ilarità con cui si prestavano a lavori di lor vocazione; la pittoresca leggiadria delle vesti; l’agreste musica; i balli; tutto ciò mi sorprendeva come un incanto. La mia anima accompagnava quella musica; il mio cuore saltava entro il mio seno. Ogn’uomo mi sembrava geniale; amabili tutte le donne.

Tornai al convento, e può ben dirsi vi tornò il mio corpo, chè il mio cuore e la mia anima non vi entrarono mai più in sua compagnia. Non potea più dimenticarmi il barlume che mi si era mostrato di un mondo bello e felice,