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tito dal giusto corruccio di Liutprando, non disdegnando di allearsi col suo antico avversario contro quegli che era ritenuto da amendue come l’autore dei loro vicendevoli infortunii, e che avea deluse in ogni tempo tutte le loro speranze.
Mercè questa contratta alleanza potè alla fine il re Liutprando muovere sicuramente la sua armata contro i duchi di Spoleto e di Benevento, e non ebbe a vincere alcuno ostacolo, imperocché i duchi di Benevento e di Spoleto, vuoi per essere stati colti alla sprovveduta, vuoi perchè abborrissero di guerreggiare contro i loro naturali signori, gli si arresero a discrezione, atteggiandosi a suoi tributarii, e non dubitando di sottomettersi a un giuramento di fedeltà, e a dargli, per mallevare l’adempimento della promessa, non pochi ostaggi. Indi Liutprando si volse contro Roma, e, a poca distanza da essa, congiunse le sue schiere a quelle dell’Esarca. Il papa vedendo venirgli addosso tanta ruina, conobbe il mal frutto della sua politica, e sulle prime si vide perduto, ma poi, fattosi animo, si attenne a un partito che avea dell’audace insieme e del prudente. Egli, preceduto e seguito da numeroso clero, si recò con gran pompa in mezzo al campo nemico, e pregò il re di levare l’assedio. Liutprando, che aveva l’animo pio, fu tocco dalle parole del pontefice, la cui virtù avea in grande stima, e anteponendo ad ogni mira ambiziosa
- «La riverenzia delle somme chiasi»
gli si profferse servo ed amico, e, condottosi con lui nella chiesa di S. Pietro, depose ai piedi della tomba dell’Apostolo le sue armi e le insegne reali, e, ad esaudire ogni desiderio del pontefice, spese tutta la sua autorità per istabilire una pace durevole tra il papa e l’Esarca.
In tal guisa fu ridata all’Italia la pace, ma Liutprando non aveva ancora mandati a fine tutti i suoi disegni, quantunque avesse conseguito dei serii vantaggi coll’astringere quei duchi di Benevento e di Spoleto a riconoscere l’autorità reale e la loro dipendenza dal regno, nonché coll’aver-