Pagina:Isernia - Istoria di Benevento II.djvu/149

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Vero è che qualche scrittore ecclesiastico ha osato negare le enormezze commesse dai soldati di Carlo nella città di Benevento dopo la rotta di Manfredi; ma una tale opinione dà senza fallo nell’assurdo, poichè lo stesso Clemente IV ne volse amare rampogne al vincitore, o dirò meglio al ladrone francese, e la sua lettera è documento che vivrà quanto il mondo lontano, per attestarne la infamia.

Ma, anche in tali termini ridotti, i beneventani fecero manifesto che 1 antico valore non era spento nei lor cuori col seguento fatto. Un orda di quei ladroni francesi, scorrazzando nei dintorni di Benevento, avea invaso il monastero di S. Pietro, abitato dalle benedettine, e posto fuori della città, e propriamente in quel luogo che ora si dimanda S. Pietro da Fori, tanto è tenace il popolo a ritenere le antiche denominazioni, allorchè una mano di prodi guerrieri campati dalla battaglia, in cui fu morto Manfredi, traendo alla difesa di quel solitario asilo di pace, assale quei tristi, ne uccide molti e il resto pone in fuga. Quando un tal fatto fu riferito al re Carlo, questi, che non era del tutto sfornito di spiriti cavallereschi, ne esultò, e infrenato, benchè tardi, il mal talento delle sue schiere, commise a quei valorosi il governo della città, e li costituì mantenitori dell’ordine pubblico. La storia patria ci conservò i nomi dei principali di essi e sono Calogine Mascambruno, Luigi Capece, Giulio Scontrado, Antonio Zocco, Marco Pino, e Simone dei Tuso, i quali erano prestanti in armi e di non oscura prosapia.

Carlo d’Angiò trovò in Benevento doviziose suppellettili e ingenti somme di denaro, ivi riposte da Manfredi, nonchè le gioie di Federico imperadore, suo padre, e del re Corrado suo fratello, che colà erano custodite per provvedere in un caso di necessità ai bisogni della guerra. Egli allora si tenne per l’uomo predestinato al governo del più bel paese del mondo, e, reputandosi felice, fu prodigo di doni ai suoi baroni, e a tutti i condottieri delle sue milizie, e smise alquanto la consueta austerità del suo carattere.

Carlo d’Angiò prese stanza per alquanti giorni in Benevento, e i cittadini, benchè forse a malincuore, affine di