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giandomenico romagnosi 541

ferri per cinque anni. I padrini, condotti essi pure sul palco, assistono all’atto infame, poi toccano la metà di quella pena.

«Si potrebbe forse ripetere la nota objezione, che io con la legge voglio rendere infame un’azione che nella pubblica opinione non è tale. So che l’opinione non è in potere della forza pubblica: ma io tento contrapporre il freno più valido che si possa nell’anima di codesti Rodomonti, per trattenerli da un atto di privata violenza».

Di quei consultori parlava egli sempre con rispetto, e anche dei ministri soleva dire che da loro moveano il più delle volte le proposizioni favorevoli alle franchigie del popolo; di Eugenio Beauharnais che «fu mal conosciuto, ed era uomo di retto sentimento, sebbene non così robusto da non lasciarsi traviare da cattivi consiglieri, nè abbagliare dal lampo della gloria militare. Una volta (seguitava egli) assistendo esso al Consiglio di Stato, inteso il partito dei diversi, esclamò: — Ma qui tutti mi parlano delle convenienze, nessuno della giustizia».

Condotte a termine le discussioni, il Romagnosi fu incaricato di ridurre in buona forma esso progetto. Discussa poi novamente la cosa in molte adunanze del Consiglio di Stato, presedute dal gran giudice, e avuto riguardo ad altre aggiunte e riforme proposte dal Romagnosi, e che meritano esser lette per la franchezza onde sono dettate1, l’opera fu pubblicata e messa in vigore2. Sono in essa distinti gli agenti della polizia giudiziaria dai magistrati; confidata a diversi la decisione del fatto e del diritto; resi indipendenti i giudici col farli inamovibili; escluso l’inquirente dal votar nella decisione; pubblici i dibattimenti. I Francesi, scarsi di giustizia verso le produzioni straniere quanto ammiratori delle proprie, dovettero confessare che il primo Codice che gli Italiani facessero, era degno di servir di modello; anzi perfetto dicono lo giudicasse Cambacérès; il che non vorremo noi ripetere, conscj degli ostacoli che alla buona volontà si frammetteano in tempo ove il diritto penale non era in armonia col cresciuto incivilimento; e raro si trova quel che era merito sommo dei grandi giureconsulti romani, il combinare i principj dirigenti coi fatti.

  1. Ultime e più necessarie aggiunte e riforme al progetto del Codice di procedura penale del regno d’Italia, Milano, 1806.
  2. Codice di procedura penale pel regno d’Italia. Brescia, Bettoni, 1807. Edizione ufficiale di XXXII e 315 pagine in-8.°.