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Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/62

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42 illustri italiani

cacciò nell’ultimo fondo dell’inferno gli uccisori del primo Cesare, e pose in cima al paradiso l’aquila imperiale, e stese un libro particolare, De monarchia. Tocco anche personalmente dalle tribolazioni in cui il disaccordo delle due potenze gettò la cristianità, pensava che, a voler il progresso, si richiedesse la pace sotto un monarca, unico arbitro delle cose terrene, mentre il pontefice dirige quelle risguardanti l’eterna salute. La monarchia è necessaria al bene del mondo? Il popolo romano s’è con giustizia attribuito l’impero? L’autorità imperiale rileva da Dio direttamente o dal papa? Questi problemi egli si propone nel libro De monarchia, ed è facile indovinarne la risposta. L’unità è la perfezione: tipo ne è l’impero romano; il Cesare tedesco ricomporrà il freno della nazione regina. Quando uno solo sia padrone di tutte cose, è spenta la cupidigia, radice d’ogni male, e nascono la carità, la libertà: un imperatore è troppo alto per servire all’interesse de’ singoli1. Questa monarchia universale deve appartenere alla nazione più nobile, e questa è la latina, il cui fondatore discende al pari da Enea e da Dardano, e per essi da Atlante, œthereos humero qui sustinet orbes; popolo a cui vantaggio Iddio operò i miracoli che si leggono in Livio, e gli concesse vittoria nel conflitto colle altre genti. Se guardiamo il Vangelo, Cristo volle nascere suddito di Cesare; la Chiesa venne dopo l’Impero, talchè la costituzione di quella non potrà dedursi che da questo. Che se i diritti s’acquistano legittimamente col duello, ben s’ha a credere che il giudizio di Dio si manifesti non meno nelle battaglie generali, e perciò abbiano legittimamente ottenuto l’imperio i Ro-

  1. Anche Bartolo attribuiva tutti i disordini del tempo alla fiacchezza dell’Impero. «Cum imperium fuit in Statu et tranquillitate (in stato la più nobil monarchia, disse Dante), totus mundus fuit in pace et tranquillitate, ut tempore. Octaviani Augusti: cum autem imperium fuit prostratum, insurrexit dira tyrannis»; soggiunga che ciò fu causa della costituzione di Enrico VII «quomodo in lesse majestatis crimen procedatur».
         Anche Dino Compagni scrive che «vacante l’Impero dopo la morte di Federico II, coloro che a parte d’Impero attendevano erano tenuti sotto gravi pesi, e quasi venuti meno in Toscana e in Sicilia; mutate le signorie, la fama e la ricordanza dell’Impero quasi spente».
         «Cum monarchia maxime diligat homines, vult omnes homines bonos fieri. Quod esse non potest apud oblique politizantes: unde philosophus in suis politicis ait. Quod in politia obliqua bonus homo est malus civis: in recta vero bonus homo et civis bonus convertuntur». De Monarchia I. 14.