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del concetto, gli elementi della scienza: onde aprì una palestra di critica elevata e educatrice; e Benvenuto da Imola e il Boccaccio allargano le ale quando hanno a viaggiare con esso.

Dante è interprete del dogma e della legge morale, come Orfeo e Museo; Petrarca, interprete dell’uomo e dell’intima sua natura, come Alceo, Simonide, Anacreonte: quello, come ogni vero epico, rappresenta una razza e un’epoca intera, e il complesso delle cose di cui consta la vita; l’altro dipinge il sentimento individuale. Perciò questo è inteso in ogni tempo; l’ammirazione dell’altro soffre intermittenze e crisi1; ma vi si torna ogniqualvolta si aspira a quella bellezza vera, che sulla forza diffonde l’eleganza e la delicatezza.

Primo genio delle età moderne, Dante scoperse quanti pensieri profondi e quanta elevata poesia stessero latenti sotto alla scabra scorza del medioevo, rivelò ai concetti popolari la loro grandezza, e costringe a continuamente pensare, persuadendo che la poesia è qualcosa meglio che forme vuote e combinazioni sonore2. Di qui la sua grande efficienza sull’arti belle, giacchè, pur ammirando l’antichità, credea fermamente ai dogmi cattolici, e tra quella e questi colloca una mitologia in parte originale, che poetizzò le tradizioni fin allora conservate fra gli artisti; e il modo ond’egli aveva coordinato i regni invisibili, offrì soggetti nuovi ai pittori, che i santi medesimi improntarono di passioni più profonde, invece di quell’aria di beatitudine soddisfatta o di ascetica compostezza, da cui sin allora non sapeano spogliarsi.

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  1. Un’elevata definizione della poesia leggiamo pure nel Boccaccio, Genealogia degli Dei, lib. XIV, c. 7, «Poesis, quam negligentes abjiciunt et ignari, est fervor quidam exquisite inveniendi atque discendi seu scribendi quod inveneris, qui ex sinu Dei procedens, paucis mentibus, ut arbitror, in creatione conceditur. Ex quo, quoniam mirabilis est, rarissimi semper fuere poetæ. Hujus enim fervoris sublimes sunt effectus, ut puta mentem in desiderium dicendi compellere, peregrinas et inauditas inventiones excogitare, meditatas ordine certo componere, ornare compositum inusitato quodam verborum atque sententiarum contextu, velamento fabuloso atque decenti veritatem contegere».
  2. La Divina Commedia a La Harpe parve une rapsodie informe, a Voltaire une amplification stupidement barbare. Ebbe essa ventuna edizione nel secolo XV, quarantadue nel XVI, quattro nel XVII, trentasei nel XVIII, più di cencinquanta nella prima metà del nostro; diciannove traduzioni latine, trentacinque francesi, venti inglesi, altrettante tedesche, due spagnuole; cencinquantacinque illustrazioni di disegni o pitture. Vedi Colomb de Batines, Bibliografia dantesca.