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Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.2.djvu/132

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122 illustri italiani

Pietro Giordani e il mantovano Giuseppe Acerbi. Quest’ultimo ben presto disgustò gli altri due, onde il Monti, che vi aveva esercitato nuove nimicizie1 e sperato trovarvi libero campo alle sue



    la superiore approvazione, e in breve ne uscirà il manifesto, coll’elenco degli amici cooperatori. Vedrete fra questi il nome di Oriani, di Stratico, di Moscati, di Longo, di Rosmini, di Francesconi, di Sbrocchi, di Morelli e d’Arici, tutti membri dell’Istituto. A questi aggiungete Maj, Gaetano Cattaneo e parecchi altri di Milano, e fuor di Milano, Costa in Bologna, Perticari in Pesaro, Borghesi in Savignano, Lampredi in Napoli, Botta (e spero anche Visconti) in Parigi, e Cicognara in Venezia. Ora, non sarebbe per me e pe’ miei colleghi, in nome de’ quali vi scrivo, non sarebbe per tutti noi il massimo de’ peccati se, fra tanti bei nomi, non si leggesse pur quello di Mustoxidi? Nella fretta con cui questo affare ha dovuto procedere, ed anche nell’incertezza del superiore consentimento, noi non abbiamo avuto tempo d’interrogarvi, e di chiedervi (siccome abbiam fatto con tutti quelli che ci sono presenti) la permissione di segnar nella lista dei nostri ausiliarj il vostro bel nome. Ma noi, sicurati sulla cortese vostra amicizia, ve l’abbiamo inserito, e abbiam piuttosto voluto peccare d’arbitrio che di riverenza. Nè per questo intendiamo che voi restiate legato da verun obbligo di contribuirci l’opera vostra. Da questo lato voi rimanete liberissimo. Ma se una volta l’anno volete esserci generoso di qualche pagina vostra, noi l’avremo per grazia ed onore singolarissimo. Nè voglio tacervi che questo favore piacerà molto anche a due persone che sommamente vi amano, al marchese Trivulzio e a sua moglie.
    «Consolateci dunque tutti d’una graziosa risposta, e quando l’ozio vi soprabbonda ricordatevi delle rimanenti vostre annotazioni alla mia Iliade. State sano, ed amate il vostro amantissimo, ecc.».

  1. Angelo Anelli, arguto autore delle Cronache di Pindo, scriveva al cavalier Carlo Rosmini da Milano, 7 agosto 1816.
    — La mia lettera non fece che accrescermi il vivo dispiacere ch’io provo di quanto è seguito, e sospendermi la penna in continuazione d’altre armi difensive che avea preparato. Ad onta che un qualche amico avesse sparso alcuni tratti della Cronaca di Pindo, or or pubblicata, pure io ne tenni sospesa la stampa, fino che lessi l’ultimo fascicolo della Biblioteca Italiana. Le dirò di più, che levai molte altre allusioni, anzi pure due ottave e tre note, in cui nominava tondo chi m’avea provocato; e le levai, tuttochè approvate superiormente. Se vorrà vederle, potrò riservatamente anche in ciò dimostrarle la mia confidenza. Ella ha ragione nel credere ch’io stimi il cavaliere Monti; lo dico, lo scrivo, lo stamperò. Ma Dio mi tenga lontano per sempre dall’aver con lui la più piccola relazione. M’ha provocato villanamente per servire alle turpi suggestioni del signor.... e del signor..., persone che conoscea e (massime il primo) disprezzava altamente; m’ha attaccato fin nella cattedra con quella imputazione sopra Leonida, che tornerà a suo scapito. Io gli ho steso la mano dell’amicizia anche quando avevo letto la prima parte del dialogo nel fascicolo VI (prima però che fosse pubblicata, avendola letta di contrabbando). Egli, senza neppur domandarmi se avevo parte nel giornal del Bellini, me ne ritenne complice; e a torto, e n’ho le prove. Insomma, stimando i suoi meriti letterarj, non posso e non devo che disprezzarlo per sempre. Grave est accusare in amicitia. Cic.