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vincenzo monti | 135 |
e disse che ebbe «di Dante il cuore e del suo duce il canto»; gli amici ne scrissero necrologie e vite con rispetto e compatimento; e deh possano trovare che, se usò la severità che devesi ai grandi estinti, il nostro giudizio non mancò di giustizia e di riverenza.
Il Monti fu poeta: qui, sta la sua vocazione, la sua unità, la sua gloria, la sua scusa. Sua missione provvidenziale fu di chiudere insignemente il passato della poesia; perocchè, qual uom di genio vorrebbe più correre la via, dov’egli aveva stampato insuperabili orme? chi mai penserebbe ancora raggiungere l’immortalità con opere di ricalco, eseguite con freddo cómputo delle convenienze, e con riguardo al cipiglio o al ghigno del critico? Chi riponga la poesia nelle immagini più limpide ed evidenti; nella imitazione armonica e plastica del vero; nell’incolpabile scelta di quanto han di meglio i classici d’ogni favella: chi creda fonte delle arti il sentimento della forma, e invaghitone, solletichi col verso la sensualità, badi al ben detto più che al ben pensato, e affacciandosi sereno spettatore al teatro dell’universo, vi cerchi fiori, vi espanda la melodia degli affetti più estrinseci e più ilari, separando la fantasia dalla ragione; facciasi eco dell’opinione divulgata, idolatrando la forza o la voluttà, adulando ai tempi o astiosi o beffardi o gaudenti, coll’esagerazione che è il linguaggio delle società decadenti, costui, abbagliato dalla gloria d’altri ma anelando alla propria, s’accorgerà che non è possibile superare il Monti.
Dopo che lettere, critica, filosofia, scienza, arte, poesia furono invase dalla speculazione ateistica e dalle aride preoccupazioni dell’orgoglio; dopo che fu offuscato sistematicamente il vero, deturpati i canoni del buono, sovvertite le leggi del bello, confidiamo potrà ancora la giustizia soverchiare le dottrine della forza e della riuscita; il potente alito dello spiritualismo resuscitare la società, e il buon gusto ajutare a ripristinar il buon senso. Allora il Monti resterà noverato fra i più bei poeti d’Italia; ma credendo che l’arte, con uffizio più sublime che il dilettare, deve assumere il bello per mezzo, per soggetto il vero, per fine il buono; che il fondo del talento letterario non è la immaginativa, ma il buon senso, la ricca intelligenza vestita di felice espressione e temperata da logica costante; che, se l’idea non la fa palpitare, la parola non vai meglio d’un’elegante drapperia gittata sopra un fantoccio; che anche fra’ ciottoli già esplorati trovansi altri diamanti, oltre quelli già faccet-