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Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.2.djvu/88

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78 illustri italiani

di alcuni tratti di quella cantica inducono facilmente il sospetto, che l’animo del poeta non fosse discorde poi tanto da ciò che sonavano le sue parole, e che parecchie di quelle cose fa duopo averle profondamente sentite per ben dipingerle. Alla quale imputazione risponderò schiettamente, che, costretto a sacrificare la mia opinione, mi sono adoprato di salvare, se non altro, la fama di non cattivo scrittore. L’amore adunque di qualche gloria poetica prevalse al rossore di mal ragionare, in un tempo massimamente in cui tant’altri mal ragionavano; e quattordici edizioni, che nello spazio di soli sei mesi furono fatte di quella miserabile rapsodia, mi avrebbero indotto a credere d’aver conseguito il mio fine, se il papa, dinanzi al quale fui trascinato per umiliare ai santi suoi piedi le mie sacre coglionerie, non avesse trovato detestabile quel dantesco mio stile. E mi ricordo ancora che, per insegnare di qual maniera dovessi da me trattare quell’argomento, in presenza di suo nipote e di monsignor Della Genga, mi recitò con grazia un’aria di Metastasio.

«Dalla premura che ho posta nell’istruirvi delle mie passate vicende rapporto alla Bassvilliana, ora che ho messa in salvo la mia famiglia, ora che il carnefice monsignor Barberi non mi fa più tremare, ora finalmente che le mie parole son libere, come libera è l’anima che le muove; da questa premura, io dico, argomenterete il prezzo che pongo all’acquisto della vostra stima, e quanto mi dolga che una fatale combinazione di circostanze mi abbia fatto giudicare partigiano del despotismo. Prestate fede ad un uomo d’onore; prestatela alla testimonianza dei pochi, ma veri Romani, che ben mi conoscono; prestatela alle mie disgrazie; prestatela finalmente alle persecuzioni di cui il papa medesimo mi ha costantemente onorato; quel papa che ha detestato e punito sempre i talenti fino al sospetto, e che due anni fa volevami furiosamente esiliare da tutto lo Stato, perchè una compagnia di dilettanti recitava in Roma con qualche strepito l’Aristodemo. Ho malamente impiegati in quella santa Babilonia molti anni della mia vita; ma quale vi sono entrato, tale ne sono uscito; e se in quel pelago di religiose ribalderie ha naufragato la mia pace, il mio ingegno, la mia fortuna, non vi ha naufragato sicuramente la mia ragione. Quale poi sia il fondo delle mie tenerezze verso il paese a cui ho dato le spalle, potrete conoscerlo dalle stampe che vi spedisco, e che sono la prima espiazione e de’ miei errori politici. Abbiatele per un sincero contrassegno della