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Cicerone 97

tro1, scontrato costui in cammino, venne seco alle prese, e lo freddò. Il vulgo, levatosi a rumore, saccheggiò la curia per alimentare il rogo su cui onorevolmente bruciava Clodio, ed assalì Milone: ma questi, ben munito e ricinto di maneschi, respinse la forza con la forza. Citato in giudizio, gli domandano, secondo le forme, che consegni i suoi schiavi perchè sieno interrogati alla corda; ed egli risponde avergli affrancati, nè uom libero potersi mettere alla tortura. Così mancavano i testimonj al fatto. Cicerone metteva in giuoco tutti gli ordigni di destro avvocato per difenderlo: ma Pompeo, pago d’aversi tratto dagli occhi quello stecco, non si curò di salvar l’uccisore; e Cicerone, presa paura dei bravi di Clodio, non recitò la bella sua arringa, e lasciò che Milone andasse esule a Marsiglia, consolandosi col mangiarvi pesci squisiti2.


XI.


Cicerone nel suo accorgimento politico poteva non vedere che la romana costituzione periva, o si trasformava? Lo impoverire de’ molti rendeva onnipotenti i pochi doviziosi; i comandi militari prolungati e le commissioni accumulate sopra una sola testa, avvezzavano a identificare la causa nazionale con un uomo; talchè non parlavasi più della repubblica, sibbene di Cesare, di Crasso, di Pompeo, sopra i quali ormai si concentrava l’interesse. Perciò in queste ultime lotte della libertà aristocratica col principato militare non appar nulla di elevato; gelosiuccie, ambizioncelle, vacillamenti, un passare dall’anarchia all’oligarchia, e sempre il governo personale, appoggiato sull’intrigo o sui bravacci. Cicerone ora, nell’orazione sua più elaborata, appoggia la proposta del tribuno Manilio di affidare a Pompeo amplissimi poteri in Asia: ora sostiene Cesare perchè gli si prolunghi il comando nelle Gallie; or contro coscienza difende Vatinio e Gabinio perchè raccomandati da Pompeo, sebbene altre volte gli avesse violentemente attaccati: uom d’equilibrio, e perciò sbolzonato

  1. Ad Attico (IV, 3) scriveva: — Clodio sarà da Milone accusato, se pure in prima non lo ammazzi. Io me la vedo che Milone, scontrandolo per istrada, lo ammazzerà: lo dice aperto».
  2. Dei senatori dodici condannarono, e sei assolsero; dei cavalieri tredici condannarono, e quattro assolsero; degli erarj quattro assolsero, e dieci condannarono: onde in quel giudizio l’aristocrazia aveva trentacinque voti sopra quarantadue.
CantùIllustri italiani, vol. I. 7