Pagina:Itinerario per escursioni ed ascensioni alle più alte cime delle Alpi Apuane.djvu/24

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d’Uccello, che uno dei due compilatori di quest’Itinerario, Emilio Bertini, fece il 9 settembre 1875.

«Gli amici miei rinunziarono a salire il Pizzo d’Uccello (1874 metri), perchè ogni tanto, ora la cima ora le spalle del monte si velavano di nebbia che poco dopo svaniva per ricomporsi di nuovo. Manifestai il pensiero d’andar io solo ad una frana che si vedeva, assicurandoli che li avrei poco dopo seguiti: mi pregarono a non avventurarmi senza nessuno per quelle nude e ripide roccie, molto più che il giorno volgeva al tramonto, erano quasi tre ore dopo mezzodì, e la nebbia s’addensava e saliva. A me pareva commettere un gravissimo fallo, se, dopo aver durato tanta fatica per arrivare a quel giogo, non avessi salito l’acuta cima della stagliata montagna. Acquietai alla meglio gli amici e, mentre essi colla guida Domenico Baracca scendevano a Vinca a preparare gli alloggi, me n’andai solo solo verso il Pizzo d’Uccello risoluto d’ascenderne la vetta. Sapeva che l’unica via era dal lato di levante; dico via per modo di dire, non che ci sia nemmeno traccia di viottolo, tranne alcuni segni di passaggio fatti dalle capre che vanno su per quelle balze. Dopo un’ora e mezzo giunsi sulla punta più alta; è uno spiazzo dove potranno stare una ventina di persone. Le nebbia che vagolava più in basso m’impedì vedere il panorama: solo dalla parte settentrionale potei scorgere il pauroso abisso di un migliaio di metri, sul quale io era sospeso: da quel lato l’ascensione, e peggio la discesa è impossibile: roccie, veri nidi d’aquila, strapiombano sul Solco d’Equi, e formano una muraglia grigia, franosa, piena d’insenature